Fra Antonino Pisano

Testimoni del Risorto 04.10.2017

Lo chiamano Antonino, non perché così battezzato, ma per via della costituzione gracile e della salute deboluccia, forse entrambe eredità del morbillo da cui è stato colpito da piccolo e che a quell’epoca (siamo agli inizi del Novecento) poteva anche essere mortale. Si è salvato, dice mamma, per merito del santo di Padova, al quale già si era votata durante la gravidanza. E se per sdebitarsi della prima grazia aveva dato al piccolo il nome del santo, Antonio, per la seconda gli fa indossare per un certo periodo, come si usava allora, il saio da fratino. Tanto non basta, fortunatamente, per orientare Antonino verso i Francescani, perché si sente attratto dai Mercedari, che sono una presenza più familiare nella sua infanzia. Dal quartiere Marina di Cagliari, dov’è nato, la famiglia si è infatti trasferita non lontano dal santuario di Bonaria: papà Stefano, da pescatore a paga giornaliera che fatica a sfamare tutte le bocche di casa sua, ha migliorato la sua posizione lavorativa, diventando prima cantiniere e poi guardia daziaria. Il trasloco permette così ad Antonino di frequentare con assiduità il santuario e l’annesso convento dei padri mercedari, diventando anzi il chierichetto ufficiale della prima messa per servire la quale si sveglia poco dopo le cinque mettendo a subbuglio tutta la casa e soprattutto i fratelli più piccoli, tanto che i genitori sono obbligati a metterlo a dormire da una zia, che vive, sola, proprio a ridosso del santuario e che quindi patisce meno il disagio di quel bambino troppo mattiniero. Che è vivace, esuberante e giocherellone e per questo infastidisce i fratelli, soprattutto il maggiore Efisio, che mal sopporta le sue esplosioni di allegria e che con lui non è avaro di botte, contraccambiate da Antonino a suon….di preghiere, soprattutto quando Efisio è fuori  casa per lavoro e il bimbetto ha paura gli capiti qualcosa. Entra a 13 anni nel convento di Bonaria, ma ne esce pochi mesi dopo, perché gli hanno diagnosticato miopia e astigmatismo che gli impediscono di studiare. Per sua fortuna un luminare di oculistica gli prescrive un paio di lenti speciali, che gli consentono di tornare a leggere e può così riprendere la vita religiosa. La zia lo indirizza ai Cappuccini, dove si guadagna la stima dei superiori per l’impegno nello studio e per le sue belle qualità, ma subisce anche l’invidia dei compagni che arrivano a calunniarlo di colpe mai commesse e per le quali viene rispedito a casa. Torna allora dai Mercedari, che non ha mai dimenticato e finalmente si ritrova al suo posto, quello che ha sempre sognato. Questo Ordine (fondato nel XIII secolo da san Pietro Nolasco con lo scopo principale di “riscattare” i cristiani resi schiavi dai Mori e portati nei Paesi musulmani dell’Africa Settentrionale), richiede oltre ai tre voti canonici di povertà, castità e obbedienza, quello specifico di dare gioiosamente la vita per la conversione dei peccatori: sono i quattro voti che Antonino emette nel 1923 con la professione semplice. Con questo primo passo ufficiale nella vita religiosa si tuffa negli studi teologici in vista del sacerdozio; ha un’invidiabile serenità interiore e un carattere aperto e gioioso; l’esuberanza dell’infanzia, seppur più moderata, non ha perso il suo smalto e tutti lo apprezzano per le battute e l’ironia con cui riesce a sollevare il morale dei compagni anche più depressi. Ama, come quando era bambino, immergersi nella lettura della vita dei santi e, così facendo, si innamora di Teresa di Lisieux, leggendo per ben quattro volte la sua biografia. Ed è proprio guardando a lei che un bel giorno anche Antonino decide di offrirsi vittima all’Amore Misericordioso, chiedendo in più la grazia di morire sui vent’anni. Quasi come risposta a questa sua offerta, da un banale raffreddore estivo arriva la tubercolosi, in conseguenza di un bagno in mare a fine luglio 1924, fatto insieme ai compagni alle 5,30 del mattino per obbedire alle disposizioni del maestro dei novizi, che non li vuole esposti agli occhi indiscreti degli altri bagnanti. Nel raffreddore generale che ne consegue, solo Antonino ha uno strascico fastidioso e una febbre insistente che dura negli anni successivi fino a bloccarlo definitivamente a letto a maggio 1926. Riportato a casa dai familiari, che tentano l’impossibile per farlo guarire, muore il 6 agosto 1927 a 20 anni o poco più, proprio come aveva chiesto. Da allora la fama della santità di fra Antonino Pisano non si è spenta e molti giurano di aver ottenuto grazie per sua intercessione, tanto da determinare nel 1945 l’inizio del processo per la sua beatificazione.