Un santo di origine fossanese che ha abbracciato il mondo

Il beato Giacomo Alberione ricordato a 47 anni dalla morte nella casa natale a San Lorenzo

“Un giorno il beato Giacomo Alberione disse al gruppo dei suoi figli che si erano radunati per celebrare l'anniversario della fondazione: ‘Figli miei ricordatevi bene che io ho tracciato il perimetro dell'opera; tocca a voi ora costruirvi l'edificio di Dio’. Un'affermazione che lascia perplessi nel constatare, al contrario, quanto quest'uomo di Dio sia riuscito a realizzare nei lunghi anni della sua vita”. Così don Venanzio Floriano, superiore della Società San Paolo di Alba, ha ricordato colui che ha fondato la sua famiglia religiosa, presiedendo, lunedì 26 novembre, giorno della 47ª ricorrenza della morte del beato, una messa insieme ad altri confratelli sacerdoti, nella Casa che gli diede i natali (nel 1884) a San Lorenzo di Fossano. Presenti diverse suore e consacrati in rappresentanza dei dieci rami in cui è suddiviso l'Istituto religioso dei paolini.

“Con 87 anni, è stato uno dei fondatori più longevi della storia e uno dei più prolifici - ha continuato don Floriano -. Non per niente la presenza della Famiglia Paolina è sparsa nei cinque continenti. Cosa fare però, adesso, nel perimetro che lui ci ha tracciato? Il beato Alberione era un uomo d'azione e di contemplazione. È stato uno dei mistici più grandi del secolo scorso, con 5-6 ore di preghiera al giorno”. Da questo suo esempio occorrerebbe ripartire “per rilanciare le nostre vocazioni che non ci sono più in Italia, ma sono presenti invece all'estero, e che, come disse il Signore un giorno all’Alberione, non possono scaturire se non dal Signore stesso”.Ritornando dunque con ardore alla conoscenza approfondita della Parola di Dio in una dimensione universale. Queste sono le caratteristiche che il beato di origine fossanese ha fatto sue.

“Teneva sulla cattedra in ufficio un mappamondo e portava sempre con sé nei suoi viaggi l'atlante De Agostini; passando con l'aereo sulle varie nazioni faceva oggetto di preghiera la superficie, la popolazione, le caratteristiche e i bisogni”. Perché, confrontandosi con San Paolo, metteva “la geografia a servizio dell'individuo, dell'apostolo e dell'evangelizzazione”.

E perché queste intuizioni fossero ben comprese dai suoi figli e figlie spirituali non ha esitato a offrire per loro la vita, soffrendo ogni sorta di malessere fisico, a volte di atroce intensità, “non arrivando mai a pesare più di 45 chili. Come ha fatto dunque quest'uomo, in situazioni simili, a percorrere per cinque volte il giro del mondo?”. Aveva una forza interiore alimentata dalla preghiera: “Intercedendo per noi tutti, perché avessimo il desiderio di un rinnovamento necessario in questo tempo di crisi”.

E, nel concludere l'eucarestia, il celebrante ha tradotto una frase, scritta in latino sulla parete vetrata della cappella (vedi foto), che il beato avrebbe ricevuto dal Signore stesso, quando, a 39 anni, si pensava che morisse per la Tbc; “Non temete (un augurio rivolto a tutti), io sono con voi, da qui (cioè dall'adorazione, che oggi si tende a tralasciare) voglio illuminare; tenete un cuore penitente”. Poi, invece, Alberione fu improvvisamente guarito. E così divenne lui testimone di questo messaggio, che continua a essere diffuso ancora oggi come una tra le sue prime eredità spirituali.