“Una pagina incivile per l’Italia. Chiediamo scusa agli 800mila compagni di scuola dei nostri figli”. Era il 23 dicembre 2017 e il lapidario commento dell’Unicef resta scolpito nella storia di una legge – quella sullo ius soli “temperato” e sullo ius culturae – che non ha mai visto la luce nonostante l’approvazione da parte della Camera nell’ormai lontano 13 ottobre 2015. Quel 23 dicembre – era un sabato, ultima seduta prima della pausa natalizia – al Senato venne a mancare il numero legale: banchi vuoti nello spazio del centro-destra e del M5S, ma in parte anche tra le fila del centro-sinistra. Poiché si sapeva che il Parlamento sarebbe stato sciolto di lì a pochi giorni per consentire le elezioni politiche il 4 marzo successivo, fu subito chiaro che il destino di quella legge era segnato.
Il tema della cittadinanza italiana per i ragazzi stranieri che crescono insieme ai “nostri figli”, per citare l’Unicef, è tornato sulle prime pagine con il caso di Rami Shehata e Adam El Hamami, i due piccoli eroi del bus dirottato e incendiato. Ma non è un tema che possa essere circoscritto a circostanze così eccezionali. È un tema che riguarda la sfera dei diritti e che dovrebbe trovare una sistemazione organica a livello normativo. Se ci fossero la volontà politica e i numeri in Parlamento, basterebbe ripartire da quell’onesto punto di mediazione che è rappresentato dalla legge affondata nella passata legislatura... continua a leggere