Jojo Rabbit

Jojo Rabbit

di Taika Waititi; con Roman Griffin Davis, Thomasin McKenzie, Taika Waititi, Rebel Wilson, Sam Rockwell.
Vincitore del premio del pubblico al Toronto film festival e pellicola di apertura al Torino film festival, “JoJo Rabbit” è una commedia nera coraggiosa e interessante ambientata durante gli anni della dittatura nazista.
Liberamente tratta dal romanzo di Christine Leunens ‘Caging Skies’, la storia ha come protagonista il JoJo del titolo, un ragazzino di dieci anni timido e impacciato che i compagni spesso prendono in giro e dai quali viene crudelmente soprannominato Rabbit/Coniglio. Già, perché la timidezza non va molto di moda nella Germania nazista dove le parole d’ordine sono razza, onore, sangue, vigore e così JoJo (Roman Griffin Davis), per tentare di sopravvivere in un mondo dove tutto gli pare difficile e ostile, si inventa un amico immaginario con cui confrontarsi e a cui chiedere aiuto. Il fatto è che l’amico immaginario ha i tratti di Adolf Hitler (interpretato dallo stesso regista Taika Waititi). Le cose cominciano a prendere una piega diversa quando JoJo scopre che la madre nasconde in casa una ragazzina ebrea di nome Elsa (Thomasin McKenzie), tra i due nasce un’amicizia e JoJo inizia a chiedersi quanto di vero e giusto ci sia in ciò che gli viene inculcato a scuola e al campo di addestramento della Gioventù hitleriana.
Operazione lodevole e coraggiosa che affronta il tema difficile e complesso della dittatura e del sopruso con le armi del sarcasmo e dell’ironia, con richiami evidenti se non nella struttura narrativa certo nello spirito a pellicole come “Il grande dittatore” di Chaplin piuttosto che a “La vita è bella” di Benigni, a “Train de vie” di Mihaileanu o “The Producers - Una gaia commedia neonazista” di Mel Brooks, il film di Waititi vince solo in parte la scommessa di distruggere la violenza e l’orrore del nazismo con la risata proprio perché troppo spesso sceglie la carineria anziché il sarcasmo tagliente e, non osando quanto potrebbe nel mettere in ridicolo la brutalità nazista, non coglie sino in fondo le occasioni possibili per seppellire con una risata l’inumanità della dittatura.