L’infettivologo: “Il virus è veloce e aggressivo come in primavera”

La testimonianza del dottor Marcello Subrizi, specialista nel reparto Covid di Cuneo

L'ospedale Carle di Cuneo (foto Loris Salussolia)

Dovrebbero essere i suoi ultimi giorni di lavoro, ma ha scelto di aspettare altri sei mesi per andare in pensione. “Vista la situazione mi è sembrata la decisione più opportuna”, spiega il dottor Marcello Subrizi, specialista che dal 1991 lavora al reparto malattie infettive dell’Aso Santa Croce e Carle di Cuneo, ora uno dei reparti Covid del nosocomio.
Ha mai immaginato di terminare la sua carriera professionale con una pandemia? Chiaramente no. È in assoluto la prima volta che mi capita di affrontare una situazione simile, penso come la maggior parte dei miei colleghi. Di epidemie nella storia dell’umanità ce ne sono state tantissime, ma da quando sono diventato medico non ne ho mai vissuto alcuna di tali proporzioni, pur avendo assistito al diffondersi, negli anni, dell’infezione da HIV. Ho studiato sui libri la spagnola e molti miei coetanei hanno ancora addosso i
segni della poliomielite, contratta prima dell’arrivo del vaccino.
Anche ora siamo tutti in attesa del vaccino…Si, ma quando arriverà non dovremmo far cadere le precauzioni: dovremo ancora mantenere a lungo tutte quelle attenzioni che sono fondamentali e che continuiamo a ripetere da mesi, come l’uso delle mascherine e il lavaggio delle mani.
Rispetto alla prima ondata e per la sua esperienza ha l’impressione che il virus sia meno aggressivo? Chiaramente la mia visione è “limitata” perché vedo solo le persone che hanno sviluppato una sintomatologia tale da richiedere il ricovero: per loro non è meno violenta, la malattia dà gli stessi gravi problemi della scorsa primavera. Anche l’età media delle persone che ricoveriamo si è leggermente abbassata: in gran parte sono anziani con patologie croniche ma c’è anche qualcuno più giovane. Forse, però, “fuori” dagli ospedali c’è un maggior numero di positivi e asintomatici rispetto alla prima ondata.
A proposito di asintomatici: pur non sviluppando la malattia, questi soggetti sono comunque contagiosi? Si, ed è per questo che le precauzioni che vengono ribadite in continuazione sono importanti, distanza e mascherina in primis, visto che sono difficili da tracciare. Anzi, sembra che già tra le 72 - 24 ore precedenti lo sviluppo dei sintomi (per le persone che poi diventano sintomatiche) si sia già in grado di trasmettere il virus. Peraltro non è detto che se si viene contagiati da un asintomatico si rimanga poi asintomatici.
Quando in estate si è registrato un netto calo di contagi avevate ipotizzato un autunno come quello che stiamo vivendo? Forse con questa violenza no, ma che qualcosa sarebbe successo sì: il virus ha continuato a circolare nelle nostre regioni, nel nostro Paese e a livello internazionale. Il fatto che ci fossero comunque ancora sporadici casi ci faceva pensare che prima o poi sarebbe riesplosa la situazione, ma l'evoluzione così
veloce e prepotente ci ha stupito.
Il Piemonte è una delle regioni con più casi e più persone ricoverate, così come la Lombardia. Le condizioni climatiche dei nostri territori favoriscono la diffusione del virus e lo sviluppo della malattia? È molto difficile rispondere a questa domanda. Sicuramente per le patologie di tipo infettivo sono molti i fattori che contribuiscono alla loro propagazione. Le nostre condizioni climatiche, più fredde e umide, comportano una permanenza maggiore all'interno delle abitazioni rispetto a quelle che hanno un clima più
temperato. Questo non aiuta, perché negli spazi chiusi, come sappiamo, certi virus circolano più facilmente. Certamente in contesti di climi non favorevoli, con inverni più lunghi e freddi, è più facile contrarre patologie dell'apparato respiratorio. Tanto è vero che ora c’è un invito pressante al vaccino antinfluenzale, per proteggersi ulteriormente e anche perché questo Coronavirus ha una sintomatologia per molti versi sovrapponibile a quella dell’influenza e ciò rischia di rendere più lenta ed insidiosa la diagnosi. Non ci sono
ancora studi, però, che indichino con certezza se in alcune zone pedoclimatiche il virus ha maggior possibilità di sviluppo.
L’attuale situazione ci porta a parlare solo di Covid-19, ma le malattie infettive sono sempre esistite e continuano ad esistere. La limitazione degli spostamenti nel mondo ha comportato anche un calo di queste patologie? La diminuzione dei viaggi farà probabilmente registrare meno casi di alcune malattie infettive che possono interessare i viaggiatori internazionali, quali la malaria. Ma ce ne sono molte altre che
si sviluppano all’interno dei territori come il nostro, indipendentemente dai viaggi: polmoniti, tubercolosi, salmonellosi e influenza tanto per citarne alcune.
La specializzazione che ha scelto l’ha portata a curare persone con malattie infettive per oltre trent’anni. Dal punto di vista psicologico, ora, è diverso fare il suo lavoro? Forse la differenza maggiore è dal punto di vista fisico. Mi spiego: chi sceglie di fare il medico, tanto più l’infettivologo, se ha timore delle malattie forse ha sbagliato lavoro. Perché ci sono molte patologie che si possono contrarre se non si osservano misure di protezione adeguate, come ad esempio la tbc. All’inizio della pandemia probabilmente avevamo più paura, perché ancora non si conosceva bene quanto questo virus potesse essere trasmissibile e quale potesse essere il rischio per gli operatori sanitari. E purtroppo abbiamo visto moltissimi colleghi contrarre il virus e per alcuni è stato letale. Ora che conosciamo meglio il nostro avversario forse lo affrontiamo con meno timore, ma mai con meno attenzione. Lavorare per molte ore al giorno vestiti come sapete è molto
faticoso: si suda, si respira meno bene. Dall’inizio alla fine del turno non c’è molto tempo per “prendere fiato”. Nei reparti di malattie infettive ci sono sempre state stanze di isolamento in cui si devono indossare maggiori protezioni: una volta terminata la visita al paziente, però, ti puoi svestire. Ora le dobbiamo indossare continuamente e ovunque, anche nei corridoi. Ecco perché è molto stancante.
Sapere che lei e i suoi colleghi avete un ruolo così importante nella gestione di questa pandemia che effetto le fa? Io ed i miei colleghi ci siamo trovati ad affrontare una situazione fuori dall’ordinario nell’ambito della nostra attività lavorativa ordinaria, che consiste nel prendersi cura di chi è colpito dalla malattia con ciò che ne consegue sul piano personale, delle relazioni familiari, sociali, lavorative. Continuiamo, pertanto, a svolgere il nostro ruolo, senza retorica né trionfalismi, rimanendo semplicemente al nostro posto, giorno dopo giorno.