Personale competente e cordiale, ma i tempi…

Coronavirus Tampone
(foto Ansa SIR)

Le esperienze sono molto simili e ci presentano un quadro fatto di impegno, competenza e cortesia del personale, ma anche di tempi estremamente lunghi che “sembrano” accorciarsi solo quando il privato si attacca al telefono e cerca risposte. Abbiamo raccolto le testimonianze di alcuni fossanesi che sono stati positivi al Covid o a stretto contatto con persone sono positive. I loro nomi sono di fantasia, ma i racconti reali.

Giovanni, magazziniere, ha dovuto prendere ferie in attesa della documentazione
La sera del 20 ottobre Giovanni, magazziniere, si è accorto di non percepire più gli odori. La mattina successiva erano spariti anche i sapori. “Sono uno che si informa e ho subito pensato al Covid: so che questi sono tra i sintomi caratteristici del virus – racconta -. Ho chiamato il mio responsabile al lavoro e sono rimasto a casa. Il medico della mutua mi ha detto di andare a prendere i bambini a scuola e che anche mia moglie avrebbe dovuto iniziare la quarantena”. Così Giovanni, l’unico con sintomi della famiglia, il 20 ottobre si è chiuso in una camera, isolato, in attesa di venire chiamato per il tampone a seguito della
segnalazione del suo medico. “Ma i giorni passavano e il telefono non squillava – dice –. Allora ho iniziato io a chiamare (praticamente impossibile trovare la linea libera) e ha mandare mail. Ma non ricevevo risposte”. Fino al 28 ottobre quando è riuscito a parlare con gli uffici dell’Asl: si era appena liberato (guarda caso?) un posto per il giorno successivo a Cuneo. “Ho fatto il tampone il 29 ottobre, l’esito (positivo) me l’hanno comunicato il 2 novembre – dice -. Intanto dall’Asl hanno comunicato a mia moglie che lei e i bambini, non
avendo sviluppato sintomi e essendo stati separati sarebbero potuti uscire di nuovo”. Giovanni è rimasto in casa, aspettando un nuovo tampone che gli hanno fatto il 7 novembre. L’esito (negativo) è arrivato il 12, quasi una settimana dopo. “Ma non ero ancora libero, in realtà. Per poter rientrare al lavoro ho dovuto attendere una comunicazione ufficiale dell’Asl che è arrivata solo il giorno dopo. Quindi dopo quattro
settimane di mutua ho dovuto prendere un giorno di ferie perché ero sì negativo ma mi serviva quel documento per rientrare”. Continua ancora Giovanni: “Mi è spiaciuto il fatto che fin dall’inizio della quarantena nessuno ci abbia chiamato per spiegarci, ad esempio, i tempi e l’iter. Soprattutto per mia moglie e i bambini. Lei è stata messa in mutua dal medico di famiglia ma per poter rientrare al lavoro aveva
bisogno di un documento Asl, lo abbiamo scoperto solo dopo averlo richiesto noi. Nessuno ci ha chiamato per conoscere le nostre condizioni di salute. Ho scoperto ufficialmente di essere positivo al Covid quando ero chiuso in casa da 2 settimane e quindi non ho neanche più segnalato la mia positività sull’app Immuni, che avevo installato. Che utilità aveva a quel punto? Ho l’impressione che se non avessi avuto io voglia di tornare a una vita ‘normale’ sarebbe bastato non fare le mille chiamate che invece ho fatto per velocizzare i tempi e sarei ancora in casa, in attesa di risposte. Io sono fortunato perché sono un lavoratore dipendente, ma se fossi stato un libero professionista?”.

Riccardo, assicuratore: “fondamentale avere un medico della mutua in gamba”
Riccardo fa l’assicuratore e il 15 ottobre si è isolato dal resto della famiglia. “Da un paio di giorni avevo i brividi ma la febbre non arrivava, poi è sparito l’olfatto e ho capito: mi sono immediatamente messo in quarantena in uno spazio che avevo a disposizione fuori provincia – spiega -. Il giorno successivo sono andato a fare il tampone privatamente in un centro autorizzato: positivo”. Il tempo di avvisare con un messaggio il medico di famiglia Riccardo è stato immediatamente ricontattato: “il mio dottore ha avviato tutte le procedure necessarie e mi ha dato tutte le indicazioni per me e la mia famiglia. Mi ha segnalato
all’Usca più vicina al mio domicilio temporaneo: sono venuti a casa a visitarmi e visto che non avevo sintomi importanti mi hanno passato in carico all’ufficio di Igiene di Fossano”. Fino qui tutto è andato bene per Riccardo, ma dopo 15 giorni nessuno lo aveva chiamato, “non avevo neanche una mail che certificasse il mio essere in quarantena – racconta -. Ho capito che probabilmente nel passaggio di competenze tra una provincia e l’altra qualcosa non aveva funzionato, nessuno mi aveva più in carico. Così io mi sono attaccato al telefono e il mio medico ha iniziato a mandare mail. Quando finalmente sono riuscito a parlare con il Sisp ho trovato una signora squisita, molto professionale ma anche molto umana. Quattro giorni dopo ho fatto un tampone ma ero ancora positivo e così una settimana dopo ne ho fatto un altro. Ci sono voluti 5/6 giorni per avere l’esito. Sono tornato ‘in libertà’ il 10 novembre, dopo 4 settimane di isolamento”.

Paolo, educatore: “mi hanno chiamato dopo due settimane per sapere quali erano stati i miei contatti”
I primi sintomi Paolo, che è un educatore, li ha avuti il 16 ottobre. Febbre, malessere generale. Il suo medico della mutua lo ha segnalato all’Usca che ha suggerito di fare il tampone, poi risultato positivo: “ho trovato persone eccezionali – dice Paolo -. Per una settimana (tanto sono durati i sintomi di Paolo, ndr) mi hanno chiamato ogni giorno per sapere come stavo, se erano cambiati sintomi e i valori. Non hanno mai avuto fretta di riattaccare e avuto il tempo per un paio di parole in più che, quando sei isolato, fanno
davvero piacere”. Ma c’è un risvolto negativo, anche: i tempi e la burocrazia. “Mi hanno chiamato per conoscere l’elenco delle persone che ho incontrato prima di mettermi in quarantena quando ero chiuso in casa ormai da due settimane – spiega -. Per fortuna so che nessuno ha sviluppato sintomi e io avevo già avvisato i colleghi personalmente prima”. Paolo ha dovuto fare altri due tamponi prima di risultare negativo, sempre al “drive through” di Savigliano. Per l’esito ogni volta sono trascorsi 5/6 giorni. “Ne sono uscito ufficialmente il 12 novembre. L’aspetto che mi fa ben sperare è che quando ho fatto l’ultimo tampone c’erano molto meno auto delle volte precedenti: mi piace pensare che ci siano meno casi da monitorare e un’organizzazione più snella”.

Elisa, dipendente: “non mi hanno avvisata della positività dei miei titolari”
Non funziona tutto bene nel sistema sanitario nel controllo e nel tracciamento dei casi positivi al Covid-19. Emblematica, ma non unica l’esperienza di Elisa di Savigliano dipendente di un’azienda artigianale a conduzione famigliare. Martedì 20 ottobre i quattro titolari comunicano ai dipendenti (sei in tutto) che sono risultati positivi al Covid-19 in seguito a un tampone fatto privatamente. Come da prassi ne hanno dato comunicazione all’Asl che in breve tempo avrebbe dovuto ufficialmente avvisare i dipendenti. “Ma passavano i giorni e dall’Asl non arrivava nessuna comunicazione - racconta Elisa -. Nessuno di noi stava male, ma per scrupolo i titolari ci hanno fatto fare il tampone privatamente. Questo il venerdì. Lunedì abbiamo avuto l’esito che per fortuna
è risultato per tutti negativo”.
“È vero che è andato tutto liscio - continua - ma così il sistema non va. A quasi un mese dall’Asl non abbiamo ancora ricevuto nessun avviso, quindi mi chiedo: se fossimo stati positivi cosa poteva succedere? Io e le mie colleghe abbiamo continuato ad andare a lavorare incontrando il pubblico nella settimana in cui attendevamo la chiamata dell’Asl, e anche mentre aspettavamo l’esito del tampone”.
“Non va bene neppure quello che è capitato alla mia titolare - aggiunge Elisa -. Non appena ha avuto la febbre ha chiamato il medico di base che però non le ha fatto la richiesta per il tampone consigliandole di stare a casa due o tre giorni e poi tornare a lavorare non appena si fosse rimessa. Peccato che due o tre giorni dopo lei si è sentita meglio, ma resta il fatto che era positiva. Quindi non si fosse fatta il tampone privatamente avrebbe continuato a incontrare gente, seppur positiva. Come facciamo a frenare la diffusione del virus se il sistema funziona così?”. Bella domanda che sicuramente non ci lascia sereni, soprattutto in
queste settimane in cui il picco dei contagi cresce in maniera esponenziale, le corsie, i Pronto soccorso e le terapie intensive sono in emergenza. Non ci resta che rispettare scrupolosamente il lockdown, usare la mascherina, igienizzarci bene le mani e uscire il meno possibile!

Laura Serafini - Liliosa Testa