“Quelli del ’68”

Raccolti in un libro le immagini, gli aneddoti e i ricordi dei ragazzi che nel ‘68 conseguivano il primo diploma all’Iti di Fossano

Quelli del '68

Era il 1968, nelle grandi città si occupavano le Università e si assisteva a una rivoluzione dei costumi unica nel suo genere. A Fossano l'eco di quel ’68 giunse soffusa, ma ci furono fatti non meno significativi quanto meno per la città e per chi quegli anni li visse. Proprio in quegli anni erano giunti al diploma i primi studenti della sede di Fossano di quella che allora era la sede distaccata del Iti Ferraris, poco dopo diventata Itis Vallauri.

A quei tempi le sezioni erano due: una di fossanesi e una di “forestieri”. In un’epoca in cui viaggiare era difficile, i non fossanesi stavano in collegio nell’allora Convitto civico di via Garibaldi per recarsi a scuola in piazza Picco, dove oggi hanno sede la media dell’Ic Paglieri e il liceo Ancina. Proprio il gruppo dei “forestieri” diplomati nel 1968 è al centro della nostra storia perché quest’anno immagini, aneddoti e ricordi di quei cinque anni di convivenza sono stati raccolti in un libro. A tirare le fila della ricerca storica Giammario Odello, nucettese, che si occupa di storia locale, dal quale ci siamo fatti raccontare la storia di un’amicizia e la genesi del libro.

Dal ’68 ad oggi ne è passato del tempo e siete ancora in contatto. Come è andata?
Il merito va un po’ a Gianfranco Bianco. Quando ci siamo diplomati dopo cinque anni di scuola e collegio, di amicizia e cameratismo, abbiamo detto addio a Fossano e ci siamo separati. Qualcuno è andato all’Università, qualcuno è andato subito a lavorare, molti si sono trasferiti e non ci siamo più frequentati per molti anni. Quando Gianfranco Bianco ha scritto “Una miss al Magar” mi ha contattato. Lui era più giovane di noi, ma era curioso e sembrava più grande e quindi ci conoscevamo nonostante la differenza di età. Nel libro ha inserito un capitolo sul collegio e uno sull’Iti e gli ho dato del materiale. In quel momento è nata la voglia di ritrovarci. Siamo andati al Vallauri dove lavorava ancora la segretaria del tempo, Caterina Gagna che ci ha dato gli indirizzi di allora. È iniziata la ricerca e ci siamo rintracciati tutti. Anche coloro che si erano trasferiti.

Quindi vi siete incontrati praticamente dopo 40 anni?
Sì ci siamo risentiti tutti e abbiamo fatto un pranzo per festeggiare i 40 anni dal diploma. C’eravamo tutti. Pensi che c’era anche la segretaria Gagna, il preside Olmo, il prof. Costamagna e il prof. Torrisi. Ci hanno anche fatto visitare il Vallauri e il liceo dove aveva sede l’Itis frequentato da noi. Abbiamo mangiato alla “Locanda del prof.”, che è di uno dei nostri e poi Carlin Petrini ci ha portati a Pollenzo. È stata una giornata meravigliosa. Ci siamo guardati, ci siamo riconosciuti. Abbiamo anche pianto. C’erano le figlie di un compagno ormai mancato. È stato commovente.

E poi? Come è nata l’idea del libro?
Dopo quel quarantennale ci siamo presi reciprocamente l’impegno di vederci tutti gli anni a settembre e così è stato. A ogni pranzo partiva il giro dei ricordi e a ogni occasione ci dicevamo “Bisognerebbe scrivere un libro”. Durante il lockdown allora mi sono messo a raccogliere e trascrivere il materiale, la storia, ma soprattutto i fatti goliardici. Ne ho parlato con un paio di ex compagni di scuola e abbiamo deciso di fare una sorpresa agli altri: ne abbiamo stampate 30 copie e le abbiamo distribuite a un pranzo.

Che significato ha avuto il collegio per la vostra generazione?
Erano anni in cui non era scontato studiare. Viaggiare era complicato e noi venivamo dalla campagna. Pensi che avevamo un compagno di Trinità che stava in collegio con noi. Anche pochi chilometri erano difficili. A Fossano al Convitto si stava abbastanza bene rispetto ad altri posti della provincia, eravamo pochi. C’era don Volta e c’erano don Gattino, don Martina. È stata l’opportunità di studiare che altrimenti non avremmo avuto. Inoltre si è instaurata un’amicizia cameratesca con la quale abbiamo condiviso tutto.

E del Vallauri, che allora era Ferraris?
Siamo molto orgogliosi di come è diventato il Vallauri. E ci siamo resi conto negli anni di aver ricevuto una grande preparazione. Per il cinquantenario ci siamo rivisti in una cerimonia organizzata dalla scuola. Ci sono persone che poi hanno studiato ingegneria, altre che sono subito andate a lavorare. In ogni caso siamo tutti d’accordo nel dire che la scuola ci ha dato tantissimo. 

Qualche aneddoto ce lo racconta?
Nel libro abbiamo pubblicato una lettera commovente del preside Olmo. Inoltre ricordo una frase del prof. Operti. Quando c’è stato il funerale del preside Olmo siamo andati tutti e abbiamo incontrato il prof. Operti. Ha stretto la mano a ognuno di noi chiamandoci per nome e cognome. Ci ha poi detto: “Ci sono classi che passano come se non ci fossero mai state, altre che restano impresse”. Questa cosa mi ha toccato.

E le marachelle?
Beh ne abbiamo combinate. Niente di eclatante, ma si usava fare un po’ di marachelle. Come il giorno in cui tre compagni decisero di “schissare” come si diceva allora e di andare a Savigliano in autostop per non farsi beccare e per cercare di incontrare qualche ragazza. La macchina che si fermò era quella del preside. Li caricò, li portò a Savigliano senza dire niente. Il giorno dopo furono subito interrogati. Un bel 3 della “schissa”.