Quelli che restano in panchina (2ª parte)

Santita 8 Giugno Sito

Se oggi ci sono (e papa Francesco li sta rivalutando) i "preti di strada", don Sebastiano Ambrosino (foto, n.4) è sicuramente un "prete di piazza", perché (sempre secondo la testimonianza di Pino Longo) sul piccolo piazzale del vecchio Salice attende ogni giorno, dalle 13 alle 14,30, i giovani che tornano dal "gir 'd la lingera" per informarsi della loro salute spirituale «e a tutti aveva le domande da rivolgere: sei bravo? ...preghi? E un richiamo caldo a comportarsi da buon cristiano». Le poche testimonianze raccolte, concordemente, affermano che «quel piazzale è stato punto d'incontro e di conversione di tanti giovani che accorrevano a lui per consigli e chiarimenti sui tanti problemi che travagliavano, allora come oggi, la gioventù», mentre Longo ci tiene a precisare che attorno a lui si radunavano «non soltanto i giovani del Salice, ma di tutta Fossano, perché la sua bonarietà e semplicità avevano invaso ogni ambiente della città». Nato a Centallo il 2 gennaio 1918 e consacrato sacerdote nel 1942, inizia il suo ministero come viceparroco a Vottignasco, per passare un anno dopo al Salice, dove resta fino al 1948, anno in cui viene "promosso" rettore di Termine e, infine, nel 1952, priore di Roata Chiusani. Di origini povere, vive da povero anche per scelta personale, distribuendo ai bisognosi quanto ha, perfino gli indumenti personali, tanto che, al momento di assumere la rettoria di Termine, sono i parrocchiani del Salice ad arredargli la canonica, perché si accorgono che le sue tasche sono desolatamente vuote. Muore improvvisamente l'8 dicembre 1965 per un attacco violento di diabete.

L'estrema penuria di dati biografici del canonico Giovanni Battista Giaccardi (n.5) ha rappresentato poi un cruccio che ci siam portati dietro da quando abbiamo scoperto il ruolo che egli ha rivestito nella fondazione delle "Buone Figlie" e la considerazione in cui è stato sempre tenuto dalla fondatrice Maria Cirotti, che, già l'abbiamo scritto, è stata una "santa" in carne ed ossa. Un cruccio, il nostro, appena appena mitigato dal sapere che anche la buonanima di don Giovanni Minero, che pure conosceva l'archivio diocesano come le proprie tasche, si lamentasse di avere così poche notizie su di lui. L'amico Carlo Morra ci ha fornito alcuni dettagli, grazie ai quali veniamo a sapere che il canonico nasce il 25 marzo 1823 a Fossano, nel "Borgatto" (cioè l'attuale Borgo Sant'Antonio), ordinato prete il 6 giugno 1846, dopo alcuni incarichi in varie parrocchie della diocesi, approda nel 1850 a Tagliata, poi va ad insegnare nel Collegio degli Oddinotti e dal 1861 è in Seminario, prima come docente, poi come rettore.
Muore il 3 novembre 1883, poco più che sessantenne, e il miglior elogio è pubblicato su "Il Fossanese", che ce lo descrive «dotto, generoso, caritatevole; s'impose la missione di far del bene e seppe cattivarsi la stima universale». Alla sua penna siamo debitori di varie pubblicazioni (tra cui una biografia di San Giovenale e una storia del santuario di Cussanio), tutte redatte  secondo un principio di ricerca storica, messo in luce da don Minero e nel quale noi perfettamente ci riconosciamo: «Non predilige i soliti nomi blasonati, ma va a ricercare i piccoli fatti, le umili elemosine, le oscure iniziative di popolani, l'accorrere dell'uomo verso l'uomo: lo sforzo e l'ideale di umili che in nome della carità cristiana si accostano ai fratelli più disgraziati per vivere e praticare l'amore cristiano». Che, in fondo, è per l'esattezza ciò che ha fatto nella sua vita il canonico Giaccardi, accettando, tra le altre cose, l'invito della Cirotti a dirigere ed amministrare l'istituto delle "Buone Figlie", al punto che questa, nella sua umiltà, voleva attribuire a lui il merito della fondazione e dell'espansione dell'intera sua Opera. Per questo, e anche per il lascito al momento della morte, l'Istituto lo ricorda come "sommo benefattore".

Un affezionato lettore di questa rubrica ci ha fatto poi notare, con molto garbo peraltro, una nostra grave omissione nei confronti di Teresina Arese (n.6), che a modo suo ha lasciato un'impronta indelebile nella fitta trama della religiosità fossanese. Sperando si accontenti (il nostro lettore, non l'interessata, che certamente non l'avebbe preteso) rimediamo subito, ricordandola tra i "santi" rimasti in panchina. Nata a Fossano il 10 agosto 1912, si diploma maestra elementare a luglio 1929, quindi a diciassette anni non ancora compiuti, iniziando tre mesi dopo ad insegnare nella pluriclasse di un paesino dell’alta Langa, Serravalle, per passare poi, appena entrata di ruolo, a Barolo e quindi, per 38 anni, alle varie scuole del fossanese: 10 anni a Mellea, 14 ai Boschetti, 2 a Piovani e 12 in città.

(2-continua)