Sono molte le prove che l’Unione Europea è chiamata ad affrontare in questa incerta stagione della storia, in un mondo che si sta frantumando e dove è sempre più difficile promuovere coesione tra popoli e Stati, compreso sul nostro continente ferito dalla guerra della Russia all’Ucraina.
C’è però anche una prova positiva a cui si sono accinti nove Paesi Ue per cercare di dare maggiore capacità decisionale al processo di integrazione europea, grazie al superamento del voto all’unanimità in particolare in materia di sicurezza e difesa, associandosi in un’impresa dalla quale potrebbe dipendere molta parte del futuro dell’Unione. Si sono accinti all’impresa, raccolti con il nome beneaugurante di “Gruppo di amici”, i sei Paesi fondatori delle prime Comunità europee degli Anni ‘50 (Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo e Olanda) ai quali si sono aggregati Spagna, Finlandia e Slovenia.
Si tratta di una squadra con storie, dimensioni e pesi politici diversi che opportunamente cumulati tra di loro potrebbero produrre risultati importanti.
Intanto è significativo che a lanciare la proposta sia stata questa volta la Germania, quasi facendo eco all’iniziativa di Robert Schuman nel 1950, associando ai “vecchi” compagni di cordata di allora, Paesi di più recente presenza nell’Ue come, in ordine cronologico di ingresso nell’Ue, Spagna (1985), Finlandia (1995) e Slovenia (2004), tutti con una già lunga esperienza di vita comune nell’Ue.
Non meno rilevante è la partecipazione di tutti questi nove Paesi all’euro, già un’adesione al progetto di un’Europa a vocazione federale, grazie ad una consistente cessione di sovranità alla Banca centrale europea, garante della stabilità monetaria dei Paesi dell’eurozona.
Ma c’è anche qualcosa di intrigante in questa composizione perché quando almeno nove Paesi trovano un’intesa tra di loro, possono accedere alla “via di fuga” delle cooperazioni rafforzate, “adottate dal Consiglio in ultima istanza, qualora esso stabilisca che gli obiettivi ricercati da detta cooperazione non possono essere conseguiti entro un termine ragionevole dall’Unione nel suo insieme…” (Art.20 del Trattato di Lisbona).
Si tratta di un meccanismo complicato e politicamente non facile da attivare, ma visto che sempre più i “tempi ragionevoli” si dilatano fino a paralizzare l’azione dell’Unione, in una congiuntura storica come l’attuale l’occasione sarebbe buona per i Paesi fondatori, e per gli altri che ancora si potrebbero aggregare, di prendere coraggio e cercare di disincagliarsi dalla morsa del voto all’unanimità, un nodo scorsoio che soffoca il processo di integrazione europea.
Sul tema è comprensibile la resistenza dei Paesi più piccoli (anche se nella lista dei nove attuali già ne sono presenti quattro) e molto dipenderà anche dal clima che si sta accendendo in vista delle prossime elezioni europee di inizio giugno 2024 e dalla capacità di visione politica da parte dei Paesi a trazione europeista.
Si potrebbe aprire qui il caso dell’Italia, che da una parte ha aderito al “Gruppo di amici” e dall’altra lascia aumentare il tasso di ambiguità politiche sul versante europeo, dalla sua vicinanza politica con Ungheria e Polonia al blocco all’entrata in funzione del “Meccanismo europeo di stabilità” (Mes) con il dissennato tentativo di uno scambio con l’imminente revisione del Patto di stabilità, fino all’incertezza crescente sul futuro del “Piano nazionale di ripresa e resilienza” (Pnrr), per il quale ritardano non a caso le rate di versamento da parte di Bruxelles, preoccupata per i suoi tempi di realizzazione e per le mancate riforme attese da anni.
Sarà pure un “Gruppo di amici” quello che si è da poco costituito, resta ancora da capire chi è amico di chi, dentro e fuori da quel gruppo di Paesi Ue.
La futura Unione Europea alla prova dei nove
EUROPA - Rubrica di Franco Chittolina