Con una mostra in biblioteca torna a Cuneo Giovanni Mattio

Visitabile dal giovedì alla domenica (16,30 - 19,30) fino a domenica 23 luglio.

Una mostra, inaugurata il 23 giugno scorso e visitabile dal giovedì alla domenica (16,30 - 19,30) fino a domenica 23 luglio, ha riportato a Cuneo le opere più recenti di un pittore cuneese, Giovanni Mattio, emigrato a Milano dal 1989 dopo che per circa un decennio o poco più era stato protagonista anche in provincia di una interessante attività artistica.
Ricordo di lui una serie di lavori esposti in mostre personali, collettive ed in concorsi estemporanei, realizzati tutti con un taglio figurativo assai interessante e che si faceva notare per una sua particolare caratterizzazione interpretativa della figura e del paesaggio.
Adesso ritorna a Cuneo ma con una narrazione pittorica che è molto cambiata (o se volete evoluta) rispetto a quel periodo: si muove infatti da una soluzione aniconica che per certi versi ricorda in neo-informale mentre per altro aspetto rimanda ad una reinterpretazione dei particolari di paesaggio in chiave cromatico-tonale.
Attorno a una grande scultura policroma, intitolata “La tavola del sole” la mostra propone una sessantina di dipinti polimaterici, selezionati dalla produzione dell’ultimo decennio e suddivisi in cinque nuclei, che appartengono ad altrettanti cicli di lavori: Tralci, Le mense, In piena luce, Cosmogonie, Galassie”.
Il titolo della mostra è tratto da un testo di Erodoto, e non poteva,  mi pare, essere diverso per un artista che (accanto alla pittura) ha praticato le lettere greche e latine nella sua attività professionale.
In questi suoi cicli pittorici (che raccontano delle sue più recenti esperienze nel campo della pittura) Mattio indaga e ripropone frammenti di ambienti e di atmosfere che appartengono (o dovrebbero appartenere) alla nostra memoria collettiva (oltre che a “situazioni” da  lui vissute in prima persona).
In questo senso il suo modo di far pittura, se per un verso rimanda a certe soluzioni aniconiche come quelle informali o astratte, per altro aspetto non ha mai rinunciato alla sua prima vocazione narrativa semmai restringendo la ricerca alle suggestioni che provocano gli accostamenti cromatici nei particolari attentamente osservati.
Quindi, come viene ricordato nella velina di presentazione, “le mense da un lato ricordano le colazioni che un tempo si facevano nei campi, durante le giornate di lavoro più intenso, o nei giorni di festa ma, al tempo stesso, alludono alla mensa ideale dell’arte che interpreta e condensa emozioni universali. Il denominatore comune a ogni nucleo di opere è la fantasia che permette di trasfigurare la realtà mediante il segno, il colore, che può produrre ricordi, intuizioni folgoranti, incursioni nell'inconscio.
Il sottotitolo mette in evidenza che la pittura di Giovanni Mattio è essenzialmente ricerca nell’ambito della scomposizione cromatica della luce. La matericità dei dipinti riporta alla realtà fenomenica a cui la luce conferisce una valenza astratta, emozionale. Le cosmogonie, le galassie, osservate da questa angolazione, diventano la rappresentazione del cosmo a cui apparteniamo, quello fisico, ma soprattutto quello ideale e morale”.
In fondo, l’hanno notato in tanti guardando ai suoi lavori, Mattio parte (o forse ritorna) sempre dal paesaggio e dalla natura e, come ha scritto Sergio Arneodo, “e di laggiù, dall’indistinto di quei fondi agresti, l’ombra che sappiamo viene avanti curva, strascicando il passo. È lui il Jan Pitadè leggendario e più che mai vero! Il Giobbe biblico della condanna mai scontata”.
Se è vero che l’origine della figurazione e la natura (la terra) Mattio su di essa continua a lavorare e indagare, oggi come ieri, lasciandosi “rapire”  volentieri da rimandi a reminiscenze classiche come i suoi studi gli suggeriscono.
Lo fa adesso con queste raffigurazioni aniconiche (sembra una contraddizione in termini) con un linguaggio assai diverso da quello che gli abbiamo conosciuto più di trent’anni addietro.
Se andate a palazzo santa Croce a Cuneo non pensatevi di ritrovare la pittura che di Mattio conoscevate prima che dalla provincia sbarcasse a Milano; non lo riconoscereste, almeno a prima vista. Poi se vi soffermate sui suoi lavori (alcuni di piccola dimensione e per me sono i più belli altri invece molto più grandiosi come sembra di moda adesso) ritroverete in fondo in fondo il ventaglio cromatico e lo “scavo” nella materia colorista dell’artista che avete conosciuto in quei giorni.